Blog aperto- venerdì 11 novembre 2011-

Il cantastorie era colui che andava in giro a cantare “storie” per paesi e città, attività già nota dalla metà dell’800, egli di solito si fermava in una piazza, all’angolo di una strada, in un mercato, dove c’era tanta gente di passaggio e lì incominciava a cantare, a suonare, a esibire i suoi fogli e i suoi cartelloni e tutti si radunavano ad ascoltare e a guardare. Un po' come facciamo noi in rete, esibiamo i post e gira e rigira la voglia di raccontare viene fuori. Da piccola sognavo di fare la cantastorie,ero affascinata da questa figura e le loro storie che tanto bene raccontavano.
Blogspot ha realizato in parte questa mia fantasia di bambina, ma a quando vedo e leggo, la figura del cantastorie è solo cambiata, si è trasformata e qui in rete chi in un modo e chi in un altro, un po' tutti " cantiamo le nostre storie" Natale si accosta, con lui i ricordi e i volti amati ritornano e con loro un po' del nostro passato. Nell'attesa del Santo Natale ricorderemo e ci racconteremo. Questi racconti che ho radunato e messi insieme ve li dono con l'augurio di un Santo Natale! Perchè noi bloggers, siamo i moderni cantastorie.


domenica 13 novembre 2011

C'era una volta...✬ ✬

... tanti e tanti anni fa, una ragazzina che aspettava il Natale con particolare entusiasmo perchè avrebbe rivisto i nonni e gli altri parenti che vivevano lontano.
I miei nonni abitavano a Limbiate, un paese alla periferia di Milano, che praticamente è cresciuto con l'arrivo di tanti veneti emigrati negli anni cinquanta. Loro avevano seguito l'esempio di tanti altri. Erano scappati dalla terra veneta quando questa non riusciva più a garantire lavoro alle giovani generazioni. Mia madre, la maggiore di otto figli, si era già sposata quando fu presa la decisione. Così, lei ed un'altra sorella partita per l'Australia, furono le sole a non seguire i genitori.


Milano non era proprio ad un tiro di schioppo, quindi le occasioni per vedersi erano poche durante l'anno:solitamente durante le ferie e a Natale.
Prima che arrivasse il telefono in casa, ci tenevamo in contatto con lunghe lettere e cartoline. A quei tempi, era l'unico modo per sapere le notizie della famiglia. Poi arrivò il telefono e fu tutto molto più semplice. E ora, nell'era di internet, il contatto è ancora più diretto. Basta un pc ed una webcam e ci si può vedere annullando le chilometriche distanze. E' straordinario se ci si pensa! Allora, le novità diventavano notizie già vecchie nel tempo che la corrispondenza arrivava a destinazione. I tempi erano dilatati, non c'erano soluzioni diverse. Funzionava così, la normalità. Nelle lettere, solitamente era la nonna a scrivere. E lei aveva un pensiero per tutti. Ricordo ancora la sua scrittura incerta. Gli anni di scuola non erano molti, ma le sue righe riuscivano a trasmettere tutto il profondo sentimento che la legava a noi.

Poi arrivava il Natale. E a Natale era consuetudine che papà ci portasse a Limbiate per qualche giorno. Lì trascorrevamo le feste con i parenti. Per me era una grande gioia.  Era una grande festa da pregustare lentamente nell'attesa della partenza. Il giorno predestinato poteva essere il 23 o la vigilia di Natale. Dipendeva dalle ferie di papà e da come riusciva a delegare i vari impegni per concedersi qualche giorno d'assenza. E comunque, il giorno stabilito si partiva molto presto pregando di non incontrare le nebbie o la neve che spesso comparivano a complicare le cose. Non ho un buon ricordo del tempo meteorologico del periodo. Arrivavamo in Lombardia spesso accompagnati da cielo grigio che era capace di stabilizzarsi per tutta la vacanza. Non ho mai capito se quella capa fosse colpa dell'inquinamento o se fosse frutto di stagione. Certo che l'aria che respiravamo appena arrivati era ben diversa da quella a cui eravamo abituati. Comunque, la felicità di vedere nonni, zii e cugini era talmente grande che tutto passava in secondo piano.
Nel giorno della vigilia, nonna preparava brodo con i cappelletti e il capitone in umido. Noi ragazzi, in realtà, non eravamo troppo entusiasti del capitone, ma mio padre ne diventava matto. Mia madre perpetua ancora la tradizione tutti gli anni. Al pranzo di Natale, io e mio fratello eravamo soliti mettere la letterina dei buoni propositi sotto il piatto di papà. Ricordo la timidezza mista ad un po' di vergogna quando la leggeva ad alta voce davanti a tutti. Non era un'abitudine quotidiana mostrare del tenero sentimentalismo nei nostri rapporti: l'educazione era severa, di tutt'altro genere di quella a cui siamo abituati oggi. Perciò l'imbarazzo era tanto. Ma almeno quel giorno, sentivamo quasi un obbligo il dover promettere che saremmo diventati più buoni ed ubbidienti. Naturalmente quelli erano propositi che duravano la bellezza del pranzo poi, neanche a dirlo, il comportamento tornava quello di sempre. Natale riuniva anche gli zii che vivevano fuori casa perchè ormai sposati. Così, capitava che in cucina ci trovassimo più di venti. Il pomeriggio gli uomini giocavano a carte e le donne se la raccontavano. Io e mio fratello, con diversi cugini più o meno della stessa età, giocavamo per conto nostro. Che caos! Ma anche una grande gioia. Ripenso a quel tempo con grande nostalgia.
Uno degli ultimi Natali prima che morisse, nonna regalò a me personalmente un piccolo presepe con tanto di lucina che illumina la Santa Famiglia.
Quel presepe lo possiedo ancora. Inutile dire che mi è molto caro.
Volo libero qui

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